Fa freddo

(Da una email del 2005)

Fa freddo, molto freddo. È da una settimana ormai che tira vento gelido e la neve scende senza tregua. Son un po’ raffreddato, e nell’autobus il riscaldamento non esiste. Non si sta poi male qui, a Lehrtzi. Qui, nella periferia di Mosca la gente non è tutta fortunata come me. Per vari motivi. Io almeno ho un lavoro. Non è il massimo, tutto il giorno davanti allo schermo del computer mi sta distruggendo gli occhi. Le norme sanitarie per il lavoro sono al livello dei servi della gleba. Tutte le sere quando torno a casa posso essere sicuro di trovare una tana calda e un pasto caldo. E non solo, ho fatto questo viaggio insieme ad una persona. Molto speciale. Ha accettato di lasciare la calda italia per venire con me in questo gelido posto. È stato bello però che abbia accettato. Mi vuole bene, questo è certo, ma comunque non giustifica il fatto che abbia fatto migliaia di chilometri per starmi accanto. È qualcosa di speciale quello che ci lega. Qualcosa di molto profondo. Come un ritrovamento dell’america. Anzi a stare accanto a lei mi sembra di trovarla tutti i giorni l’america. Tutte le mattine quando mi sveglio. Tutte le sere quando torno a casa. È questa l’altra cosa che mi rende fortunato qui, in russia. Il fatto di tornare a casa la sera e trovarla puntualmente alla finestra a cercarmi tra i fiocchi. È strano quello che ho nel mini disk. Johnny Cash. È una canzone che piano suggerisce la nostra storia. Una ragazza bella, bellissima, con gli occhi chiari come lei e i capelli biondi come lei. Troppo bella che viene chiamata a Hollywood per un film. Ma dopo tanto peripezzare, capisce qual è il vero significato delle cose e torna dal suo boy at the candy store. Anche lei è tornata da me. Non siam stati molto insieme all’inizio. Però poi ci siam ritrovati nelle coccole. Una sera è venuta da me senza dirmi niente, doveva venire da me a dormire con le altre, poi però le altre han desistito e lei aveva rinunciato. Poi però quella sera, leggo un messaggio: “tu sai dov’è la coop a fo sulla via emilia dopo il ponte?” bè sì, è vicina al Diagonàl, “vienimi a prendere allora”. Era a forlì! Che storia. Mi ha fatto troppo piacere quella strana sorpresa. Non pensavo che sarebbe mai arrivata a tanto. Era troppo bello. Il pomeriggio e la sera ce le siam fumate con gusto, in più la sera siam stati in un pub con Matteo e la Silvia. Poi siam tornati a casa, abbiam fumato per un po'’ e poi ci siam baciati. E coccolati soprattutto. Mi faceva dei sorrisi troppo belli e mi dava troppa
soddisfazione. Poi abbiam fatto l’amore. Giocoso, allegro. Bello. Nel freddo di dicembre ci siam scaldati a vicenda nel mio lettino. Sentivo la sua pelle calda contro la mia, il suo respiro morbido sul mio collo. I baci lunghi sulle mie labbra. Ha le labbra troppo belle. Grandi, sode, rosse e dolci. Da quella sera sentivamo entrambi che le nostre esistenze erano indissolubilmente legate. Per sempre, per la vita. È per quello penso, che Luisa mi ha seguito fino a qui, in Russia. Il mio autobus è arrivato, scendo, mi guardo in giro. “questa neve durerà ancora per almeno una settimana”. In italia la neve mi piaceva troppo, la anelavo per tutto l’anno e, finalmente, a dicembre arrivava e si portava dietro il natale. Luisa invece non gradiva molto il freddo. Me lo aveva detto in spagna che a lei il clima caliente piaceva. Il freddo le dava un po’ fastidio penso. Arrivo davanti a casa a guardo la finestra. Cerco i suoi occhi che mi aspettano e mi chiamano ma lei non c’è. Non è alla finestra. Non mi sta aspettando come tutte le sere. È strano. Di solito ero sicuro di vederla lì. Come il primo giorno. Tante cose son passate dal primo giorno. All’inizio si era adeguata bene, poi però diceva di sentirsi sola e che faceva fatica ad abituarsi. A volte la sentivo al telefono che parlava con qualcuno di queste cose e capivo che
incominciava a stancarsi di quella vita. Dall’altro capo del filo qualcuno le diceva di tornare, che aveva fatto una pazzia, e che, in fondo non eravamo neanche sposati. Ne avevam parlato ma, per un motivo o per un altro non l’avevamo ancora fatto. A me, sinceramente non importava molto. Stavo bene con lei e non era un anello che mi dava queste sensazioni. Lei forse però ci teneva più di me e forse questa cosa le dava anche un po'’ di fastidio. Perché poi io non volevo sposarmi con lei? Di preciso non lo so, era qualcosa che avevo imparato a in spagna. Che le cose belle non sono materiali e l’amore non si misura con uno stare insieme. Certo che con Luisa era diverso, con lei avrei passato altre 1000 esistenze, anche più brutte di questa. Era lei e solo lei. Sempre lei. Solo quegli occhi mi davano gioia e calore, solo quei baci mi dava la sicurezza e l’affetto che avrei sempre cercato. Probabilmente non è la prima vita che passiamo insieme, già dal primo giorno che l’avevo conosciuta in spagna mi sembrava di averla già conosciuta. Dove non so, neanche quando, sapevo solo che eravamo uniti da un vincolo indissolubile. E allora, se dico queste cose, perché allora non l’ho sposata? Anche solo per lei dovrei farlo, anche se a me non importa un legame fisico per essere sempre ed in ogni momento con lei. E ora, magari se ne è andata. Il modo più semplice per farlo. Salgo le scale, entro in casa e trovo una sua lettera che dice che è tornata a bologna perché non ne poteva più. Niente di più facile. E io pirla starei lì, con in mano la lettera e negli occhi le lacrime. La disperazione di aver perso l’unica cosa importante che avevo. Quello per cui la neve non era mai troppo fredda e il lavoro mai troppo duro. Sarei la persona più inutile di questo mondo. Se non per
stare con lei, perché vivevo, se non per sentire la sua testa che si addormenta piano la sera sulla mia spalla. Perché non l’ho sposata? Perché non l’ho sposata?
Alla finestra ancora non si vede e sto incominciando a pensare sul serio che abbia deciso di farla finita con me, col freddo, con la noia. Sono sotto la finestra e la guardo cercando i suoi occhi. Lei non c’è. È sempre stata lì, tutte le sere da quando siam venuti a vivere qui e stasera non c’è. Mi si figura il mio brutto pensiero davanti agli occhi. Non può essere così. Salgo in casa e lei non c’è. Non c’è neanche la lettera che tanto temevo. Torno giù, faccio le scale di corsa per cercarla. Lei non c’è, per strade c’è solo la neve e le persone che camminano verso casa. Mi guardo intorno ma non la trovo. Se ne è andata sul serio. Sento la neve che si fa pesante. L’oppressione di questa città si sta scaricando interamente su di me. Non so se reggerò il peso. Solo un rumore nella neve. Da una locanda all’angolo arriva una voce
che canta una canzone russa. Bella. Un violino e una fisarmonica l’accompagnano e mi trasportano la sofferenza che è nella canzone. Una storia di povertà e neve. Persone che arrancano nella scala dalla vita. Sento il freddo che sentono loro e il cuore mi brucia. Non può essere, non deve essere, non se può essere andata. Così. Non può. Poi sento il calore di due braccia che mi cingono la vita. Sento qualcosa che mi stringe. Poi un profumo, un profumo indimenticabile. Dalla sera a bologna all’eternità non l’avrei mai dimenticato. Era lei. Il mio cuore ha un sobbalzo. Non se ne era andata. Era lì, con me, che mi stringeva ed appoggiava la sua testa alla mia schema. Mi giro e la vedo. Ha la faccia coperta dal cappuccio col pelo e vedo solo in vapore che ne esce. Si abbassa il cappuccio e mi guarda. La guardo.
Come la prima volta. Come quando a bologna mi aveva parlato e baciato e guardato come mai prima. I suoi occhi di neve mi fissano con affetto. Mi bacia. “era ora che tornassi” ed io “dove eri? A quest’ora, fuori da sola” “ero all’emporio, oggi ho trovato la cioccolata calda e volevo fartela stasera, solo che poi mi son accorta che non avevo il latte e son andata a prenderlo”

La stanza era tutta ricoperta di legno

(Da una email del 2005)

La stanza era tutta ricoperta di legno. Il pavimento, le pareti, giusto il soffitto non era in legno. Era bianco, bianco latte, e nelle serate tiepide di fine giugno rifletteva il tramonto, riempiendo la stanza di rosso e giallo, a seconda dell’altezza del sole. La stanza dove principalmente ci riunivamo noi era in fondo ad un corridoio, in una posizione tale da avere quasi tutte quattro le pareti che davano sull’esterno della casa. Tutte le pareti avevano una finestra, anche l’unica che in parte ospitava la porta che dava sul corridoio, aveva una finestrella che contribuiva ad illuminare la stanza nelle ora serali. Su un lato c’era una libreria, alta fin quasi il soffitto, che conteneva una quantità di libri molto grande in confronto a quella che è sempre stata la mia biblioteca casalinga. Oramai però, avevamo letto tutti e tre una buona parte dei libri che erano sugli scaffali. Dal momento in cui ci era presa abitudine, avevamo letto circa una decina di libri. Di solito era uno dei tre a caso che proponeva qualcosa. Lo spunto poteva essere molto vario, dalla curiosità suscitata da un trafiletto di giornale letto a pranzo, al suggerimento di una persona con un
nick illeggibile incontrata su irc. Riuscivamo ad essere abbastanza vari nelle scelte, anche se erano capitati libri indigeribili e un po’ noiosi, ogni volume era riuscito a lasciare qualcosa nella nostra memoria. Altro nostro diletto, era la musica. Avevamo rimediato un piccolo stereo non troppo potente, con il quale passavamo serate intere a non fare niente se non aspettare di vedere la musica. Di cd ne avevamo macinati molti di più, quasi tutte le sere infatti, quando ci riunivamo, qualcuno
portava un disco nuovo, delle sonorità nuove, dei ritmi leggeri quanto martellanti nella piccola stanza. La musica dipendeva molto anche dal tipo di serata. Serate più allegre, magari annaffiate da un po’ di albana o zibibbo, erano accompagnate da suoni più allegri e ritmi contagianti. Le serate rilassate invece, soprattutto d’estate, avevano un repertorio molto diverso. Avevamo esplorato tante musiche fluttuanti nell’aria della stanza. Ritmi lenti e cadenzati accompagnavano i momenti più
dolci della serata. Quando eravamo tutti e tre stesi sul tappeto tra cuscini morbidi, quando i lunghi tiri dalle pipe si mescolavano con carezze soffici. In quelle sere era bello aspettare di dormire tra le mie due amiche che già si erano assopite. Tutti e tre stesi per terra, a luce spenta, a guardare le luce delle macchine fuori che entravano da una finestra aperta ed uscivano dall’altra. Verso i primi di giugno, spesso si sentiva un fruscio lento e continuo, un ticchettare della pioggia che piano
rinfrescava la città. Era in quei momenti in cui mi sentivo in sintonia col resto del mondo, che mi sentivo parte del tutto che mi girava in torno. Allora mi guardavo un attimo in giro, recuperavo un mozzicone tra le dita di una delle mie amiche che già ronfava, lo accendevo e concludevo la serata. Spesso però, passavamo lì solo il preserata. Ci trovavamo sulle 9:30pm nel nostro rifugio e ci preparavamo per l’uscita. Le due si consigliavano cosa indossare anche se erano essenzialmente due
ragazze diverse. Per modo di vestire intendo. Una era più per i vestiti alla francese, “alla Amelie”, come diceva lei, l’altra invece vestiva più moderno, più rivolta verso abiti comodi ma alternativi. La serata partiva di lì, un bicchiere di vino o birra, una mezza pipa in tre e poi si usciva. Avevamo dei locali preferiti, questo è sicuro, però ci piaceva sperimentare, specie posti nuovi e un po’ strani. Ogni tanto ci scappava una seratina elettronica, magari anche un po’ retrò, anni 80, magari un po’ di
afro o di roba veloce. Ci piacevano soprattutto, nelle sere estive, le festa all’aperto, magari con una birretta al parco urbano o verso la costa fino in spiaggia. Spesso si riusciva anche a fare nuove amicizie. In tre dopo tutto, spesso ci scambiavamo amicizie e conoscenze. Mi piaceva pensare di avere tante persone intorno, di avere tanti rapporti da riuscire a riempire una serata di chiacchiere futili. Alcuni personaggi chiave orbitavano intorno a noi tre ed all’appartamento, spesso si
vedevano personaggi entrare ed uscire, dopo aver scroccato una sigaretta o un boccone, uscire senza neanche salutare. Nell’appartamento bastava anche solo un cd con un po’ di musichetta nuova per guadagnarsi una pipa. Tutti quelli che passavano di lì comunque ed avevano qualcosa da dare, un parere, una riflessione o un pettegolezzo, erano sempre molto graditi. D’estate era caldo. Troppo caldo. I gelati che ogni tanto compravamo non arrivavano a sera e giravamo per casa mezzi nudi. Una volta sola siamo andati oltre. Io ero tornato dal lavoro e, dato che a casa non mi aspettava nessuno, mi ero rifugiato direttamente in appartamento. Ero abbastanza sudaticcio e la temperatura non mi aiutava di certo. Entrato in appartamento ho salutato le mie coinquiline, ho scroccato loro una sigaretta e infilato nella vasca. Era una vasca vecchia, in parte murata che rivolta verso una finestra del cortile. Avevo una radiolina accesa sopra il lavandino che trasmetteva un po’ di rock anni 70. Iggy e Lou erano i più quotati dal dj che ogni tanto interrompeva le canzoni. Nel relax che mi ero creato e con la musica che riempiva la stanza non mi ero accorto che la porta si era aperta e le mie due amiche erano entrate nella stanza. Con passi felpati si erano acquattate dietro di me che, incurante delle intruse, mi godevo la musichina e la sigaretta. Poi, piano, sento due mani che mi si appoggiano sugli occhi e sento un forte odore nella stanza. Attendo un attimo e sento il bocchino di una pipa che si appoggia sulle mie labbra. Do un tiro e la pipa si allontana dalle mie labbra. Poi una voce piano all’orecchio mi parla.
“tieni gli occhi chiusi”
Le mani si scostano dai miei occhi. Io obbedisco alla voce e lascio cadere il mozzicone di sigaretta che tenevo tra le dita sulle piastrelle del pavimento del bagno. Sento del movimento intorno a me e l’acqua che si alza piano nella vasca.
“Ora puoi aprirli”
apro piano gli occhi e vedo le mie due amiche davanti a me nella vasca. Dopo un paio di risatine, incominciano gli schizzi e tutta la faccenda finisce allagando metà bagno.

Hyperlove

Pensa ad un mondo, immagina un mondo, in cui le persone che ti stanno intorno sul bus, al lavoro, dal panettiere, nel traffico, non ti odia.

Un mondo in cui il passante ti sorride.

Un mondo in cui le persone a cui vuoi bene si interessano a te, si preoccupano di te, ti fanno sentire il loro affetto, ti consolano, ti abbracciano e ti stringono e ti coccolano quando ne hai bisogno.

Un mondo in cui puoi stare in piedi, nud* di fronte alle altre persone, nude anch’esse, nude dentro e nude fuori la sua pelle, e allungando la mano puoi toccare altre mani ed altre anime.

In cui puoi essere te stess* nella tua forma originale, senza paure nè vergogna.

Se sei riuscit* ad immaginarlo, a vederlo e senti che qualcosa ha vibrato dentro di te, esci di casa e cerca quel mondo, io ti aspetto lì.

Hyperkiss

Penso che la cosa più bella di quel bacio si stata la spontaneità con la quale me lo abbia chiesto.

Si parlava di altro, di baci comunque “sai una volta ero lì, al bancone con nn amico e stavamo ridendo del fatto che entrambi avevamo baciato un comune e amico, e…” in quel momento mi interrompe e seria “beh, allora possiamo darci un bacio? A stampo”.

Io stavo per mordere un anellino di cipollina fritta che puzzava solo a guardala.

“Oh cavoli! Ma ho appena mangiato una cipollina!”

Lei ride, di cuore e mi guarda “finiscila prima ahah”

Col cuore in gola faccio scendere il più veloce possibile il boccone di cipollina fino allo stomaco e mi pulisco le labbra, un veloce sorso di birra e la guardo sorridendo.

Ci avviciniamo socchiudendo gli occhi. Mi accarezza il viso, lenti movimenti delle dita, mentre lascia un profumo di rosa sulle mie labbra che si sciolgono a quel tocco vellutato. La bellezza, la dolcezza, l’amore.

Bolle

Mi piaceva la sensazione di calore che dava quell’enorme stanza. Non era tanto la sauna o la piscina a distendere ma l’acqua che si spandeva dovunque, come fosse una spiaggia vera, nel bel mezzo dell’inverno, nel bel mezzo dell’appennino.

L’autunno era appena iniziato ma già l’odore dei camini, delle castagne sul fuoco e del vino novello, facevano da contorto a quel week end meritato e tanto atteso.

Non era la prima volta che mi concedevo un paio di giorni di tregua in quel posto sperduto ma era veramente da tanto tempo che non succedeva.

E c’era anche una novità, ero andato con Linda, finalmente. Niente di meglio.

Avevo trovato un angolo comodo e silenzioso, dal quale potevo sbirciare tutta la grande sala mentre l’acqua mi accarezzava insistente le gambe. Il bottone per far partire il macchinario era a pochi centimetri dalla mia mano, quasi non mi dovevo neanche sporgere per attivarlo una volta finito il tempo.

Sarò stato lì una mezz’ora almeno e, contando che il massaggio durava circa 3 minuti, penso di avere premuto quel tasto almeno 7-8 volte.

Avevano posizionato i getti in maniera che neanche mi dovessi sorreggere, solamente le bolle bastavano a non farmi affondare e farmi fluttuare sul pelo dell’acqua. Sul soffitto una decina di luci colorate assicuravano onde di tonalità che si spostavano nella visuale, da destra a sinistra.

Dall’altro lato della vasca, la finta spiaggia coperta di lettini coperti di teli coperti di persone.

C’era la coppia scolpita e abbronzata che si scambia occhiate d’intesa. Li avevo visti, quella mattina a colazione, sventrare 4-5 uova sode a testa con le dita, lasciando solamente i rossi da una parte. Quell’immagine mi aveva bloccato lo stomaco, non perché non mi piacessero le uova o per lo spreco di cibo, ma penso fosse proprio il movimento che facevano con il pollice, rompendo prima il guscio e poi l’uovo, scavando fino a trovare e eliminare il rosso maligno e pieno di colesterolo. Non era certo un posto raffinato, però le rimanenze di uovo sulle loro mani mi aveva disgustato.

Poi due anziani lettori. Li detestavo. Arrivavano di buon mattino o nel primo pomeriggio ed occupavano i lettini migliori, quelli nella posizione migliore, piazzandosi con un libro tra le mani. Certo apprezzavo il gesto, la maggior parte del bagnanti stringeva il telefono in mano e passava il tempo scorrendo schermate infinite col pollice o fotografandosi per gli amici, coperti di asciugamani e occhialoni da sole per nascondere quello che di solito nascondeva il trucco. Però non potevo non notare che in tutte quelle ore, non avrebbero fatto neanche un bagno. Una sala lettura sarebbe bastata alle loro esigenze, anzi avrebbero speso meno e per di più non avrebbero occupato un lettino, già ce ne erano pochi.

Una famigliola, due figlie con una madre, sfogliavano riviste, romanzi e testi universitari. Almeno, loro, un bagno ogni tanto lo facevano. Era splendido vederle abbracciarsi in acqua e notare tutti i piccoli dettagli le facevano assomigliare. Spesso neanche marcati ma solamente un’espressione o un movimento della bocca mentre sorridevano. Pensavo alla bellezza della complicità che può nascere tra una madre ed una figlia. Sensazioni che forse provavo con mio figlio anche se in una tonalità completamente diversa.

Una coppietta, erano giovani, che qualcuno avrebbe definito male assortita. Erano le mie preferite. Quelle in cui si notava una differenza da punto di vista estetico, uno scalino per così dire. Quelle, insomma, in cui lui appariva come un bel ragazzo mentre lei molto meno appariscente. Un pochino in carne magari, con le forme giuste nei posti sbagliati. Adoravo quelle coppie – che comunque erano uniche, mai succedeva di vedere invertiti i sessi, chissà perché – le adoravo perché forse mi immedesimavo in entrambi. Mi era capitato anni prima, di sentirmi al posto della ragazza e di aver trovato una persona a cui piacessi con tutti i miei difettini – giuro che a me non sono mai interessati – ed imperfezioni o comunque anche se fossi al di fuori dei canoni di bellezza. E, ai tempi piccolo e stupido, mi vantavo, senza mai dirlo esplicitamente, di quella mia conquista. Ed alla stessa maniera mi vantavo di avere un occhio particolare per le persone, di non essere legato così strettamente ai canoni in vigore ma che anzi, il mio occhio fosse allenato a scovare la bellezza dove più si nascondeva. E spesso la trovavo e me ne innamoravo.

In quella carrellata di personaggi umani, avevo perso Linda. Ci eravamo lasciato qualche minuto prima, lei diretta ad una sauna che non mi andava proprio, ma era oramai scaduto il tempo massimo per stare ad 80 gradi secchi.

Allungai i piede contro la parete spingendomi verso l’altro lato. Con la testa sotto il ciglio dell’acqua, il borbottare continuo dei getti finiva di accarezzarmi anche le orecchie.

Lentamente mi avvicinai al lato opposto, scrutando nel tentativo di vederla comparire come per magia in un qualche punto che non avevo esaminato per bene. Niente, Linda non si trovava.

L’ultimo tratto lo feci tutto con la testa sotto, allungando le mani per non sbattere con il cordolo. Riemersi. Il bordo della piscina era ricoperto di piccole mattonelle, saranno state un pollice o due al massimo, di tanti colori che ricordavano l’acqua, disposte a caso su tutta la superficie come a continuare il movimento che producevano le onde.

Allungai le mani per guadagnare il bordo e mentre mi facevo forza e lentamente l’orizzonte si allungava davanti ai miei occhi, ecco comparire il suo viso.

Il capelli neri e mossi le cadevano bagnati sulle spalle mentre alcune lentiggini ballavano sulle gote sorridenti. Gli occhi scuri mi scrutarono un secondo o due, prima di chiudersi in un bacio dolce sulle mie labbra salate.

 

Gelosia

Me l’ha fatta.

Dovevo immaginarlo, stupido io, che prima o poi sarebbe successo. Tutti mi avevano avvisato ma io niente, stupido, non ci volevo credere. Ero sicurissimo che non sarebbe successo a me, che per noi sarebbe stato differente, perché lo siamo sempre stati, differenti.

Differenti da quelli che dicevano che prima o poi capita a tutti, che è naturale, fisiologico, che nessuno ci scappa.

Ed infatti alla fine è successo.

Non è stato immediato, certo, io sono lento in tutto e soprattutto in queste cose, complicate ma elementari nello stesso tempo. Ma alla fine ci arrivato. Sono bastate poche semplici parole, tutte intorno a quella centrale, più importante amore, per capire che non ero più io l’oggetto dei suoi desideri. Delle sue attenzioni, dei suoi affetti. Ma era qualcun’altro, al di fuori della nostra coppia, qualcuno che si era intromesso da qualche mese e di cui mi fidavo. Di cui mi fidavo avrebbe in realtà arricchito le nostre vite, invece di rubarmi lei, il mio amore.

Ed ora non lo sopporto più, pare esista solo lui nella sua testa, nei suoi pensieri, io non esisto più.

Quello che mi rende ancor più nervoso e arrabbiato è che lei non ne fa un mistero né un segreto.

Certo non lo fa quando ci sono io, ma la sento con le amiche al telefono o al caffè, bisbigliare contenta dovreste vedere com’è bello, il mio amore, ed io a far finta di non sentire o di non soffrire di queste su parole roventi.

Il mio amore? Io sono il tuo amore! Lui non esisterebbe neanche se non fosse stato per me, sarebbe un granello di polvere insignificante, non esisterebbe neanche.

E poi, in fondo, non è neanche così bello. Certo ha già capito come farsi voler bene da tutti, sin dal primo momento in cui si è palesato alla porta di casa. Sorrisini, moine, ha conquistato tutti. Anche mia suocera, anche mio suocero. Che ora non hanno occhi che per lui. Una volta mia suocera mi faceva sempre trovare il mio piatto preferito, la domenica a pranzo. Ora neanche mi saluta e non chiede più di me.

Lui, lui, lui! Con che coraggio…

Se potessi, ah se potessi. Se potessi lo farei tornare da dove è venuto, così torneremmo ad essere solo io e lei, Marta, l’amore della mia vita.

Figurarsi se l’avessi fatto io, se mi fossi preso una cotta così bollente per un’altra persona. Figurarsi le storie che mi avrebbe fatto già me la immagino.

Forse, forse avrei dovuto giocare d’astuzia, forse sono ancora in tempo, forse dovrei semplicemente farmi l’amante, innamorarmi di un’altra persona come a fatto lei ed aspettare, aspettare che torni da me. Mesta e gelosa come mai prima.

Dove ti sei persa amore mio? Dove sei ora? Non ti accorgi più di me la sera quando vieni a letto, o quando prepari la cena. Io non ci sono più nei tuoi pensieri. C’è solo lui.

Quel mostriciattolo malefico di mio figlio Marco.

 

Ehi!

Ehi! Ti vedo!

Ehi! Io no. Dove sei?

In ultima fila, in fondo al tavolo…

Sei coperto!

Aspetta che mi sposto.

 

Ora?

Sì! Sei piccolissimo ma ti vedo.

Come sei bella!

Ma smetti, è stata una settimana terribile.

Sei sempre bella!

Smetti… Come stai?

Bene dai, anche quà parecchio lavoro, andremo onlinea breve.

Che progetto?

Picci

Ah! Ho capito. Se ne parla spesso qua.

Abbiamo ancora parecchio da fare, spero solo che tutta la baracca stia in piedi.

Ma sì dai… Ma quando ci vediamo?

Eh… Bella domanda… Ho chiesto al mio capo quando mi manda a Londra ed ha detto che prima di dicembre non c’è modo.

Cacchio. E’ un mese!

Eh lo so sweetie.

Ma lui sa?

Sìsì, lui sa.

E allora? Non può accelerare la cosa?

Eh no. Dice che non dipende da lui.

Cacchio. E come faccio ad aspettare così tanto?

Tu non riesci a farti mandare qui? Va bene anche Roma, poi prendo un giorno e ti vengo a trovare.

Eh, non so.

E poi vedi cosa ti faccio!

Maiale!

Ma smetti… Hai detto tu che hai voglia di vedermi…

Certo, non vedo l’ora! Scherzavo, scemino…

Mi manchi…

Anche tu…

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Ma quella maglietta?

Ti piace?

Oddio, il giallo non è il mio colore preferito, però ti sta bene!

Grazie, non è neanche il mio, però mi manca il sole…

Ehi, stanno parlando con te!!!

Cacchio! Mi stavano per sgamare…

Stupido! Stai attento!

Mannaggia.

Ora ti faccio una domanda!

Macchè! Io sn qui per caso, lascia perdere!

 

Ma che domanda era??

Era per romperti le scatole scemino! Io ho praparato questa presentazione, tu invece come al solito non stai attento…

Che stupida!

Hihihi

Ma hai voglia di fare l’amore con me?

Tanto.

Se hai voglia, toccati i capelli, così posso vedere quanto hai voglia.

Ok…

 

Mannaggia. Mi hai fatto venire ancora più voglia di vederti…

Eh eh, l’ho fatto di proposito…

Cacchio, sto meeting inutile è finito. Quando ci vediamo?

Se va tutto male, a Dicembre, come dicevi tu.

Altrimenti?

Altrimenti… Ti metto un meeting?

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