Linda

Era uno dei dettagli del diventare adulti che mi più mi stringeva, strettissimo, il cuore.

Prima era più facile: un caffè dopo pranzo, una pausa studio, un martedì sera a caso alle 23.

Poi tutto diventa una corsa continua: spesa, bimbo, lavoro, parenti, riunioni condominiali.

Per questo motivo era stato così difficile incrociarsi. Ma ne era valsa la pena.

Dopo il primo incontro, del tutto casuale, qualcosa era rimasto nella mia testa, un tarlo, un insettino malefico che mi faceva apparire il suo viso nei momenti più diversi, a volte imbarazzanti. Tanto però era bastato per mantenere vivo in me il suo ricordo e la voglia di conoscerla, di incontrarla.

E lei, Linda, mi aveva dato modo di capire che fosse un sentimento reciproco. Quei messaggi che mi mandava, a volte improvvisi e sempre conditi di punti esclamativi come fossero gratis, mi aveva fatto sospettare, se non sperare che anche in lei si fosse insinuato il tarlo. Non potevo comunque fare altro che sperarlo, certezze non ce n’erano, anzi, più il tempo passava e più temevo che il potere del tarlo diminuisse fino a scemare quella che mi sembrava essere voglia di vedermi.

Eravamo arrivati al mese, quasi esatto, senza incontrarci. Ed è sempre il più difficile, il primo, quando ancora qualsiasi tipo di sentimento è giovane e fragile.

Ed era una domenica sera, stanchissima, di ritorno da chissà dove, quando mi era arrivato il messaggio.

Una birra veloce stasera non facciamo tardi?

Nella sua gentilezza, quando mi scriveva per uscire, era sempre un invito a tutti, i genitori ed il piccolo. Ed era così che me la immaginavo, sinceramente affezionata alla simpatia di mio figlio, ai suoi sorrisi ed alle sue moine, anche quelle viste e conosciute una volta sola, per qualche ora.

E quella non era sicuramente una domenica pomeriggio adatta ad uscire. Stanchezza tanta e qualche capriccio volavano per la casa.

Ciao Li, guarda, non penso. Il piccolo è stanco e la mamma ancora di più. Mi sa che dobbiamo rimandare a un’altra volta

Attesi qualche minuto sapendo che quella probabilmente era l’ultima possibilità e che quel rifiuto avrebbe chiuso per sempre la faccenda. Saltellavo per casa col bimbo in braccio, sperando che svenisse dal sonno il prima possibile.

Fuori, in una domenica di ottobre inoltrato, fresca e nebbiosa, il buio era già sceso innondando di malinconia e della pace che lascia nel cuore la fine di una storia.

Ho capito. Ma neanche tu? Così, per vederci. Non mi ricordo più che faccia hai! Ahah Ti faccio tornare a casa presto, anche io ho bisogno di riposare un po’ prima di ricominciare la settimana.

Il piccolo aveva appena incominciato a piangere seriamente quando lessi quel messaggio.

Che fare?

Non penso che decisi realmente cosa fare ma qualcosa accadde. Al sentire le urla, la mamma era corsa a prendere il bimbo e, con piglio serio e risoluto e guardandolo dritto negli occhi, gli aveva sussurrato dolcemente ora dormi, eh? Rubandomelo dalle braccia.

Allora d’istinto.

Senti ma, se uscissi per una birretta?

Aveva già incominciato a dondolarlo, tenendo stretto a sé.

Vai vai, tanto devo fare cose, levati dai piedi.

E mi diede un bacio dolce sulle labbra, sorridendo.

Va bene Linda. Tra 5min esco, dove ci vediamo?

Volai a cambiarmi ed a prendere il bus, sicuramente in meno di 5 minuti.

Finalmente in pub era lì, davanti a me.

Feci in giro dei tavoli cercandola, pensando che, precisa com’era, sicuramente era già lì ad aspettarmi. Il freddo e l’umidità non fermavano certo i tanti che cercavano qualche minuto ancora di relax prima che il lunedì tornasse, ancora una volta, a sconvolgere tutti i piani. Il locale era ampio e distribuito sui tre lati di una palazzina, poco lontano da dove ci eravamo incontrati la prima volta. Non la trovavo, anche se mi sembrava di vederla in ogni chioma scura che incontravo. Solamente all’ultimo, verso la fine della vetrina, la trovai di spalle che mi aspettava, alta e bella come me la ricordavo.

Ciao

Mi accorsi subito che era imbarazzata quanto me, non sapeva di preciso come comportarsi, come salutarmi.

Ciao tu… Finalmente

Mi avvicinai ancora un po’, il suo sorriso, le sue gote tonde e la sua pelle morbida, la sua femminilità che esplodeva in quella linea di rossetto di fuoco che aveva anche la prima volta. Finalmente era lì davanti a me a fissarmi con quegli occhi scuri ed intensi che avevo cercato per giorni. Non c’era dubbio, era bella. Piena di una bellezza così fuori dai miei canoni.

Un bacio sulla guancia? Due? Una stretta di mano?

Neanche lei si muoveva, fissa nella nostra indecisione. Si avvicinò ancora un po’, senza però farci capire cosa cercasse da quel momento. Allungai un braccio sul suo fianco, e lei, incoraggiata da quel gesto, alzò il suo fino alle mie spalle. La mia mano era oramai sul suo fianco, quasi sulla schiena, quando la vidi socchiudere gli occhi ed allungare l’altra sua mano sotto il mio braccio, mentre la prima oramai atterrava sicura sulla mia spalla.

E poi strinse, mamma mia quanto strinse. Appoggiando la testa sul mio collo.

Era oramai abbandonata completamente in quel momento, mentre io mi chiedevo quante volte avesse immaginato quell’abbraccio prima, in quei giorni che ci avevano separato.

E mentre le accarezzavo piano la schiena capii che, come me, mai prima aveva osato sperare in tanto calore e che per lei, come per me, quell’attimo sarebbe durato per sempre.

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